Cento anni fa la conversione di Chesterton
Aug 04, 2022di Paolo Gulisano
Il padre letterario di Padre Brown diventava cattolico proprio mentre la Gran Bretagna passava rapidamente dal bigottismo protestante all’ateismo pratico. Il suo cammino verso Roma approdò nella Chiesa, «il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento», trovando la vera felicità al prezzo... della confessione.
Cento anni fa, il 30 luglio del 1922, Gilbert Keith Chesterton, uno dei più celebri romanzieri e saggisti del Novecento, diventava cattolico. Fu una scelta maturata a lungo. Dieci anni prima aveva creato una delle più celebri figure letterarie di sacerdote, Padre Brown, ispirandosi ad un amico prete irlandese, Padre John O’Connor. Molti si stupirono – allora come oggi – della perfetta ortodossia espressa da Padre Brown, senza che il suo autore fosse ancora cattolico. In realtà, nel suo cuore da molto tempo GKC guardava alla Chiesa cattolica con interesse e ammirazione. Suo fratello Cecil lo aveva preceduto di qualche anno nella conversione. Il suo più caro amico, Hilaire Belloc, era un cattolico militante, e oltre a Padre O’Connor Gilbert poteva vantare altri amici religiosi, come il domenicano di Belfast Padre Vincent McNabb, predicatore in Hyde Park, con cui condivideva l’impegno nel Movimento Distributista, Padre Ronald Knox, un convertito diventato cappellano a Oxford, autore di libri gialli, e dom Ignatius Rice, monaco benedettino e campione di cricket. Personaggi straordinariamente insoliti e anticonformisti, ma fedelissimi testimoni della Verità cattolica.
Padre O’Connor fu il più pronto tra questi amici a cogliere i segni della volontà di Gilbert, di cui da tempo conosceva il desiderio di essere accolto nella Chiesa cattolica. A lui aveva confidato, mentre si batteva con la penna in difesa della fede, che «gli uomini non sono stanchi del cristianesimo. Non ne hanno mai trovato abbastanza per esserne stanchi». Anni dopo, parlandone nella sua Autobiografia, così spiegava le ragioni della sua decisione: «Quando la gente chiede a me o a qualsiasi altro: “Perché vi siete uniti alla Chiesa di Roma?”, la prima risposta essenziale, anche se in parte incompleta, è: “Per liberarmi dai miei peccati”. Perché non v’è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. Ciò trova la sua conferma nella logica, spaventosa per molti, con la quale la Chiesa trae la conclusione che il peccato confessato, e pianto adeguatamente, viene di fatto abolito, e che il peccatore comincia veramente di nuovo, come se non avesse mai peccato. […] Dio lo ha fatto veramente a Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. È un esperimento nuovo tanto quanto lo era a soli cinque anni. Egli sta nella luce bianca dell’inizio pieno di dignità della vita di un uomo. L’accumularsi di tempo non può più spaventare. L’uomo può essere grigio e gottoso, ma è vecchio solo di cinque minuti. L’idea cioè di accettare le cose con gratitudine, e non di prenderle senza curarsene. Così il Sacramento della Penitenza dà una vita nuova, e riconcilia l’uomo con tutto ciò che vive: ma non lo fa come lo fanno gli ottimisti e i predicatori pagani della felicità. Il dono viene fatto ad un prezzo ed è condizionato alla confessione. Ho detto che questa religione, rozza e primitiva, di gratitudine, non mi salvò dall’ingratitudine del peccato, che per me è orribile al massimo grado, forse perché è ingratitudine. Ho trovato soltanto una religione che osasse scendere con me nella profondità di me stesso».
Nell’estate del 1922 Gilbert decise così di entrare a far parte della Chiesa cattolica. Il giorno del battesimo, celebrato a Beaconsfield, il villaggio a nord di Londra dove GKC viveva con la moglie, fu commovente e comico, in modo assolutamente chestertoniano, con Gilbert che prima del rito ripassò un piccolo catechismo, rimuginando a bassa voce e camminando su e giù per la casa. Di quella giornata cruciale nella sua vita scrisse subito una lettera alla madre, rimasta protestante: «Mia carissima mamma, Ti scrivo per dirti una cosa prima che io ne scriva a qualsiasi altra persona. Sei sempre stata così saggia da non giudicare la gente dalle opinioni, ma piuttosto le opinioni dalla gente. È una storia lunga, in un certo senso, ma sono giunto alla stessa conclusione di Cecil sul bisogno del mondo moderno in materia di religione e di rettitudine, e sono ora cattolico nello stesso suo senso, dopo aver preteso a lungo quel nome nel senso anglo-cattolico. Non farò uno sciocco scalpore, rassicurandoti intorno a cose di cui sono sicuro non hai mai dubitato; queste cose non urtano alcun rapporto fra persone che si amano appassionatamente come noi, tanto più perché mai costituirono una differenza nell’amore tra Cecil e noi. Ma ci son due cose che desidero dirti, nel caso che, per qualche altra impressione, tu non te ne renda conto. Ho pensato a te, a tutto quello che debbo a te e a mio padre, non solo quanto ad affetto, ma quanto agli ideali di onore, di libertà, di carità e di tutte le altre buone cose che mi avete sempre insegnate, e non ho coscienza della più piccola frattura o differenza in questi ideali, bensì solo di un modo nuovo e necessario nel combattere per essi. Credo, come Cecil, che la lotta per la famiglia, per la libertà del cittadino e per ogni cosa degna deve ora essere ingaggiata dall’unica forma militante della cristianità. L’altra cosa è che ho pensato questo nell’intimo di me stesso e non in un impulso sentimentale. Sono mesi da che vidi i miei amici cattolici, e anni da che parlai di questo con loro. Credo che sia la verità. Tuo affezionatissimo figlio Gilbert».
GKC diventò cattolico proprio mentre la Gran Bretagna passava rapidamente dal bigottismo protestante all’ateismo pratico, paludato con le parole d’ordine dell’umanitarismo. Non poteva che diventare cattolico, giacché – come ebbe a scrivere – «la Chiesa è il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento». Ora era arrivato a casa, in un luogo – il solo – dove poter trovare accoglienza, misericordia e perdono. Visse la sua conversione con sobrietà, senza fanfare trionfalistiche, lui che amava l’eccesso e il chiasso infantile. La visse con gratitudine, innanzitutto per gli amici che gli avevano indicato la strada: Padre O’Connor e Hilaire Belloc prima di tutti. Anni prima Belloc aveva scritto uno dei suoi libri più significativi: The Path to Rome (Il cammino per Roma); era l’avvincente resoconto del pellegrinaggio che aveva fatto – a piedi – fino a Roma. Un viaggio compiuto come i pellegrini del Medioevo, un viaggio che, metaforicamente e spiritualmente, ora anche Gilbert aveva ultimato.
Chesterton si recò anche personalmente a Roma, poco tempo dopo essere divenuto cattolico, e ne descrisse l’impressione ricevuta nel libro La resurrezione di Roma, dove Gilbert infuse tutto il suo sentimento di essere finalmente a casa: «Nel cuore della cristianità, nei vertici della Chiesa, nel centro di quella civiltà che chiamiamo cattolica, lì e in nessun movimento, né in nessun futuro, si trovano la stabilità del senso comune, le tradizioni veraci, le riforme razionali, che l’uomo moderno ha cercato senza trovarle lungo tutto il cammino della modernità. Da questa volontà, e non da quella di coloro che faranno i governanti del futuro in questa terra distratta e inquieta, deriva il memento che la misericordia è stata trascurata e la memoria gettata via». Il difensore della fede ora aveva una bandiera da tenere alta, con umile fierezza.
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