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TRUTH

Buoni e cattivi

silvana de mari Sep 26, 2022

di Silvana De Mari

Siamo privi di artigli, zanne e pelo: non siamo in grado di sopravvivere da soli. Senza una società fatta di molti individui che, tutti insieme, procurino vestiario e cibo, siamo morti. Il nostro cervello quindi, da sempre, percepisce l’isolamento come pericolo. Meglio condividere l’infelicità che essere felici da soli, perché la solitudine, l’essere esclusi dal gruppo, rende più difficile la sopravvivenza. Meglio dire idiozie con tutti gli altri, e dire la verità da soli, anche perché, tanto più è alto il livello di menzogna di una civiltà, tanto più violento l’odio contro chi si rifiuta di mentire. Il gruppo inoltre difficilmente è neutro  Se non ci accoglie, vuol dire che ci sta rifiutando, e il suo rifiuto si trasforma inevitabilmente in aggressione.

L’essere umano è normalmente feroce, basta aprire a caso un libro di storia per averne la prova. I processi dei gerarchi nazisti e gli esperimenti di psicologia sociale di Milgram e Zimbardo hanno convalidato questa affermazione. In una nazione decente la psicologia sociale dovrebbe essere vietata. La facoltà di psicologia, e ancora di più la sua specializzazione in psicologia sociale, esattamente come le facoltà di antropologia e sociologia sono false facoltà che vendono un sapere opinabile e soprattutto manipolabile.

In una facoltà vera, magari mediocre, ma vera, ci sono docenti e studenti di tutte le fedi politiche. Nelle facoltà di psicologia sociale, come dimostra Roberto Marchesini nel suo imperdibile libro Le vie della psicologia  tutti appartengono alla sinistra, le facoltà di psicologia sociale sono quindi il braccio armato del potere globalista. Le facoltà di antropologia e sociologia sono talmente intrise di marxismo e postmarxismo da essere diventate, in alcuni casi, negli ani di piombo,  centri di sovversione politica. Oggi sono centri di controllo politico.

È pensabile un docente di psicologia sociale, antropologia o sociologia fortemente credente nel cristianesimo e di idee politiche conservatrici? No. Quindi si tratta di facoltà che sono in realtà luoghi di indottrinamento.  Con il termine framing, letteralmente incorniciare, si intende l’attribuzione di significati preformati e immodificabili a determinate parole o immagini o comunque elementi, così da dirigere il pensiero e le emozioni delle masse, incoraggiarne determinati comportamenti e, praticamente, vietarne altri. È una delle tecniche di manipolazione insegnata in queste bizzarre facoltà.

Noi cafoni bifolchi che non sappiamo l’inglese avremmo preferito il termine neolingua, che si riallaccia al mitico libro 1984 di George Orwell, ma anche la parola dogma avrebbe fatto l’affare. Il solo fatto che stiamo usando la parola inglese framing già dimostra che abbiamo perso diverse battaglie, e che le facoltà di sociologia ci stanno addomesticando ai loro anodini anglicismi. 

Il termine multiculturalismo è un esempio di framing: dà già per scontato che una società nata da culture aliene le une rispetto alle altre, sia sempre possibile, anzi augurabile, un dono per tutti. Non è un dono, ma una problema, sempre. Un problema in alcuni casi risolvibile, vi sono alcune culture che possono convivere tra di loro, non essendo troppo dissimili le strutture familiari e sociali. Anche in questo caso resta però la complicazione innegabile della lingua, dei codici di comportamento e vestiario diversi, della religione diversa con relative feste comandate, del cibo diverso e delle diverse interdizioni religiose.

Ogni gruppo presuppone suoi codici di comportamento, lingua e vestiario. Nel momento in cui sono in presenza di persone che non condividono quei codici, e che parlano una lingua che non comprendo, si crea un più o meno inconscio stato di allarme con aumento dell’adrenalina. Se in un incidente aereo ci sono morti italiani ci dispiace di più. Ne La Tregua, Primo Levi malato di tifo, riesce a trascinarsi per soccorrere un altro deportato nella camerata di fianco perché attraverso la parete di legno sente che è italiano.

Vivere in un quartiere dove la maggioranza è straniera, dove le sonorità sono aliene, dove il cibo non è quello noto da sempre, è una fatica e può diventare un trauma. L’affiliazione al gruppo è un potente sistema interpersonale biologicamente basato su alcuni neurotrasmettitori tra cui la serotonina, socialmente basato su un passato comune e la bellezza di una cultura comune. Nel momento in cui ci troviamo circondati da persone con cui non abbiamo linee di affiliazione al gruppo la nostra serotonina si abbassa e l’ adrenalina si alza, entriamo in allarme.

E sempre una fatica, nel migliore dei casi, un dramma o una tragedia quando la cultura aliena ha linee di aggressività. L’introduzione di una cultura in un’altra è sempre problematica, quando non traumatica, e non sempre è possibile. Ci sono culture violentemente aggressive, altre cui è stato insegnato a vergognarsi della propria storia, a vergognarsi del testosterone, interpretato come mascolinità tossica. La difesa del territorio è una prerogativa di maschi, un istinto che nasce dal testosterone, ed è criminalizzato nelle società storicamente e stolidamente devirilizzate come la nostra, società che interpretano diritti elementari come la difesa del territorio come un arbitrio, e violenze totali come subire un’invasione come una forma di cortesia.

Nessuna nazione ha l’obbligo di ospitare chiunque si presenti alle sue porte, meno che mai una nazione povera con code chilometriche alla Caritas. Questo obbligo vale quando ci siano guerre o catastrofi importanti in paesi confinanti, quindi non l’Ucraina, non siamo confinanti, non il Senegal, non la Nigeria, meno che mai il Pakistan, non la Tunisia il Marocco o l’Egitto, che potrebbero teoricamente essere prossimi, ma non sono  flagellati da  nessuna guerra e nessuna fame. 

L’unico paese degno di aiuto sarebbe la Libia, vicina e tragicamente destabilizzata, contro gli interessi del popolo libico e contro gli interessi dell’Italia, e con la complicità di personaggi politici quali Napolitano e lo stesso Berlusconi, che non ha avuto il coraggio di opporsi. La Libia era una nazione stabile, con un ministro dell’Istruzione e un ministro del Turismo, che non uscirà mai più dalla guerra civile permanente in cui gli impavidi esportatori di democrazia l’hanno sprofondata, e che ha assistito al lodevole democratico spettacolo del linciaggio del suo precedente capo politico.

Le persone che vengono da noi dall’Africa o dall’Asia in maniera clandestina sui barconi non sono i migliori, ci arrivano i peggiori. I migliori,  se avessero le cifre necessarie alla traversata, che oscillano da 3000 a 10.000 dollari, le userebbero per creare una piccola impresa al loro paese. I migliori restano a combattere sulla loro terra oppure emigrano con un regolare permesso di soggiorno dopo essersi trovati un lavoro. I migliori non arrivano sui barconi. Arrivano i peggiori. Il 90% della nostra immigrazione clandestina, spacciata per fenomeno di rifugiati da impalpabili guerre e ancora più impenetrabili carestie, è costituito da maschi islamici in età militare.

Stiamo quindi importando un esercito a nostre spese,  stiamo risolvendo il problema di tutti i ricchi islamici che in Africa e in Asia si comprano la seconda o terza moglie. Perché la società non sia destabilizzata occorre allontanare i giovani maschi in più. Questi maschi potranno vivere sul nostro territorio indisturbati. Saranno mantenuti con fiumi di denaro tolti a un popolo agonizzante, mentre anno dopo anno i terremotati restano in ignobili e squallidi rifugi. Qualsiasi crimine commettano la colpa verrà imputata a chi “non li ha integrati”. Hanno commesso vandalismi e brutalizzato ragazzine sul Garda? Colpa nostra. Hanno ammazzato la gente a picconante, martellate, o altro? Noi bastardi non li abbiamo fatti sentire amati.

Mentre distruggono auto e arredi urbani i nostri poliziotti li contemplano con gli occhi pieni di gentilezza. L’odio, gli idranti e i manganelli in faccia li hanno riservati a chi rivendicava il diritto al lavoro senza fare da cavia a Pfizer e Moderna. In realtà è l’immigrato che deve integrarsi: se siamo noi che dobbiamo integrare lui non è un immigrato, è un invasore.

La parola multiculturale è presente sui libri di ogni livello scolastico come fenomeno più che positivo, magnifico. Accennare alla problematicità della cosa rende immediatamente squalificati. Il multiculturalismo è un disastro  diventa una frase impronunciabile, impensabile, non degna nemmeno di essere confutata. È distrutta ogni possibilità di discussione.

L’asterisco alla fine delle parole e un’altra drammatica forma di manipolazione basata su un framing, cioè sulla neolingua.  Il framing, o neolingua o dogma, è la base della manipolazione mentale. Se un uomo o una donna si dissociano dalla realtà del loro sesso, non è una forma di cortesia irrinunciabile assecondare questo disturbo dissociativo, invece che aiutarli a guarirne. La nostra mente è incarnata nel nostro corpo, noi siamo la nostra mente, ma anche il nostro corpo. Non possiamo cambiarlo come si cambia un abito, non lo portiamo al guinzaglio come un cagnetto riottoso. Noi siamo noi, dalla accettazione del nostro essere nasce la nastra potenzialità di essere umani.  Se in una classe c’è qualcuno infelice per il proprio sesso occorre organizzare un laboratorio di armonizzazione mente corpo, non assecondarlo, esattamente come non assecondiamo le persone anoressiche che vogliono dimagrire fino alla morte per inedia.

La parola transfobia blinda la dissociazione proteggendola da qualsiasi pensiero logico, costringere persone confuse in una gabbia di confusione ancora maggiore, obbliga il popolo a una menzogna cronica. Distrugge qualsiasi possibilità di discussione. Permette incredibili fiumi di odio e di insulti indirizzati all’autrice di Harry Potter, alla biologa che non ha potuto fare la conferenza sulla differenziazione sessuale in natura, allo scrittore con la carriera distrutta per aver fatto affermazioni banalmente vere.

 

 

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