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Alberto Guareschi: "Niente pietas per mio padre in carcere"

alberto guareschi giovannino guareschi la nuova bussola quotidiana paolo gulisano Jul 13, 2024

di Paolo Gulisano

L'autore di don Camillo fu l'unico giornalista dell'Italia repubblicana a pagare le sue opinioni con la prigione e la gogna a mezzo stampa (anche cattolica).La Bussola suo figlio parla delle lettere tra i suoi genitori in quei 13 mesi, ora raccolte in un volume.

Giovannino Guareschi è stato lo scrittore italiano più letto del ’900. È stato anche uno dei più amati, e i film tratti dai suoi libri, riproposti in TV un anno sì e l’altro pure, continuano ad avere un’audience significativa. Eppure quest’uomo che fu grande scrittore, grande giornalista e uomo libero, riuscì – nella sua innegabile simpatia – ad avere anche degli implacabili nemici. Tanto implacabili, che nel 1954 subì una querela per diffamazione che lo portò alla condanna ad oltre un anno di carcere. Una vicenda quasi incredibile. Tra il 1954 e il 1955, Giovannino Guareschi, allora direttore del Candido, trascorse tredici mesi in carcere a Parma: dopo aver pubblicato sul suo giornale due lettere attribuite ad Alcide De Gasperi fu condannato per diffamazione a causa del duro commento che le accompagnava. Convinto di aver subito un torto perché non gli era stata data la possibilità di difendersi, Giovannino decise di non presentare appello e di scontare la pena. Al carcere seguirono poi sei mesi di arresti domiciliari.
Il figlio Alberto (ricordate l’Albertino, che insieme alla sorella, la Pasionaria, è protagonista dei racconti di vita famigliare di Guareschi?) ha curato la recentissima pubblicazione 

dell’epistolario intercorso durante la carcerazione tra Guareschi e la moglie Ennia (la Margherita dei racconti). Ne è risultato un libro, Caro Nino ti scrivo, edito da Rizzoli, che è lo straordinario racconto di uno dei momenti più controversi della vita di un grande autore del Novecento. Una testimonianza preziosa – arricchita da numerose illustrazioni nel testo e nell’inserto a colori – raccolta ed elaborata attraverso numerose fonti, molte delle quali inedite: le memorie familiari e degli amici e collaboratori; il memoriale del maresciallo delle guardie carcerarie Mario Pellegrinotti, diventato amico dell’illustre prigioniero, le migliaia di lettere e cartoline spedite dai lettori e soprattutto gli scambi epistolari di Guareschi, tra cui in particolare le lettere inviate alla moglie Ennia – la Vedova Provvisoria – che gli rispondeva chiamandolo con il suo antico diminutivo, Nino.

Alberto Guareschi, come è nata l’idea di questo libro?
Erano anni che pensavo di leggere la corrispondenza che mio padre aveva ricevuto nel periodo passato nel carcere di San Francesco a Parma. Nel 2008 l’archivista Cristiano Dotti aveva numerato tutti i 232 pacchetti preparati da mio padre avvolgendo i blocchi di corrispondenza con dei giornali e legandoli con della garza. Poi ne aveva svolti alcuni catalogandone il contenuto. Due anni fa aveva ripreso il lavoro di catalogazione Giorgio Casamatti. Gli archivisti mi chiedevano di volta in volta chiarimenti sulle persone che gli scrivevano. Così mi sono accorto di essere forse l’unica persona che, grazie alla mia età, poteva avere notizie sui mittenti e su fatti e persone citati nella corrispondenza. Grazie alla clausura imposta dal covid sono riuscito a leggere tutta la corrispondenza del carcere e, nello stesso tempo, sono riuscito a ricostruire il periodo passato in cattività da mio padre.

Suo padre è stato l’unico giornalista nella storia dell’Italia repubblicana a finire in carcere per le sue idee. Che idea si è fatto di questa persecuzione?
Ho ritrovato tra le mie carte della giovinezza lo scartafaccio sul quale allora incollavo gli articoli più cattivi su mio padre con i miei commenti di allora e mi trovo ancora perfettamente d’accordo con quel ragazzino indignato perché la stampa governativa e, purtroppo, quella cattolica, schierata contro di lui, forniva notizie inesatte o tendenziose. E rileggendo oggi quegli articoli non riesco a trovarvi una briciola di pietas nei suoi confronti.

Giovannino Guareschi aveva scritto, anche dopo l’esperienza dei lager nazisti dove era stato rinchiuso tra il 1943 e il 1945, “io non odio nessuno”. Questo libro mi sembra che lo confermi…
Lui non era capace di odiare e anche nelle situazioni drammatiche cercava sempre di vedere il lato umano delle persone che lo circondavano, spinto da quell’empatia per il prossimo propria degli umoristi...

Le chiedo un ricordo personale. Durante la carcerazione lei era un ragazzo di 14 anni. Come visse questa drammatica vicenda?
Grazie a Dio e all’intelligenza dei nostri genitori io e mia sorella non abbiamo ricavato traumi dalla vicenda che ha condotto nostro babbo in carcere. Favoriti anche dal fatto che vivevamo nella Bassa dove le persone sono valutate e giudicate non per la loro posizione sociale o per le idee politiche ma per il loro valore personale e nostro padre era molto stimato come uomo.  

Nel libro troviamo anche la corrispondenza relativa alla stesura della sceneggiatura del film Don Camillo e l’onorevole Peppone, in cui si ritrova tutta la vivacità e l’inventiva del miglior Guareschi. La galera non aveva spento il genio di suo padre…
No, però, scrive mio padre, «la parte meno divertente della faccenda è rappresentata dalla fatica che io devo sostenere per riuscire a fare entrare in galera don Camillo e Peppone... L’aria della galera non pare adatta ai loro polmoni abituati all’aria pulita della Bassa...».

Per questo libro ha attinto dallo straordinario archivio che avete a Roncole Verdi. Dobbiamo aspettarci anche qualche altro inedito?
No, non c’è nulla di inedito nell’archivio. In compenso c’è tutto il materiale che potrebbe servirmi se dovessi pensare di raccontare la sua vita in famiglia.

FONTE : La Nuova Bussola Quotidiana

 

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