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Abuso di naufragio

carmine ippolito Nov 30, 2022

di Carmine Ippolito

Contestuale all’insediamento del governo Meloni è tornato di stretta attualità il tema degli sbarchi in Italia dei profughi raccolti nelle acque del mediterraneo. Si tratta di un deja vù: la monotonia del clichè politico ideologico della sinistra globalista ammorba il livello del dibattito politico degradandolo a stagnante appendice di talk show in irreversibile crisi di audience.

La questione può essere ridotta all’essenziale nei seguenti termini: il diniego agli sbarchi, opposto dal governo italiano alle navi ong che  raccolgono senza sosta profughi, incautamente avventuratisi in mare dalla coste dell’ africa settentrionale, viene contestato come illegale dalla sinistra ageè.

Il diritto dell’Unione, stando alle tesi della sinistra umanitarista, individuerebbe, quale stato competente ad esaminare le domande di protezione, giammai lo stato di bandiera delle navi ong, ma lo stato di cui questi ultimi varcano la frontiera illegalmente.  Ed il naufrago, soccorso in mare, stando alle convenzioni internazionali deve essere condotto, per ricevere assistenza, nel porto sicuro più vicino.

Il punto critico è dato dal fatto che ci si ostina a non riconoscere che il fenomeno dei flussi di migranti che si avventurano nel mediterraneo è diverso, e più complesso, di quello che le norme di diritto internazionale e comunitario evocate si prefiggevano di disciplinare. E la pretesa di vincolare il governo del fenomeno all’applicazione di tali disposizioni è politicamente illogica oltre che giuridicamente infondata.

La vaexata quaestio, afferente l’individuazione dello stato competente ad esaminare le domande di asilo, è affidata al Regolamento 604/2013 detto Dublino III.

 Gli stati membri della UE , invero, si oppongono ormai da oltre cinque anni ad introdurre, in tale disciplina,  i necessari correttivi di solidarietà nella redistribuzione tra gli stati europei dei richiedenti asilo, basati su ovvi criteri oggettivi quali la popolazione residente ed il reddito. E tanto in aperto dispregio a qualsiasi spirito  umanitario pure, a parole, cui si proclamano ispirate invece le politiche dell’Unione.

Il fenomeno necessita comunque di essere più correttamente inquadrato tanto in punto di fatto che di diritto.

  1. Lo stato di bandiera della nave soccorritrice, sulla base delle direttive che disciplinano la materia, non può rifiutarsi di esaminare le domande dei richiedenti asilo. L’ordinamento europeo, sebbene lacunoso in subiecta materia, impone tale conclusione:  le disposizioni non affermano tale criterio interpretativo, ma neppure lo negano. A tale conclusione è dato comunque pervenire sulla scorta di una interpretazione ragionata della normativa di riferimento. Vero è che, sulla scorta dei principi fondamentali del diritto internazionale, la nave soccorritrice è da considerarsi non soltanto un mezzo, in quanto per giuridica definizione estensione del territorio dello stato di cui batte bandiera. Vero è che qualsivoglia nave soccorritrice, stazionante in acque internazionali, è legittimamente sottoposta in via esclusiva all’ordinamento ed alla giurisdizione dello stato di bandiera.
  2. L’invocato diritto allo sbarco del richiedente asilo nel territorio dello stato  ove è ubicato il porto sicuro più vicino, fonda sulla pretesa condizione di “naufrago”di coloro cui la nave soccorritrice presta soccorso. Condizione di naufrago che, in tali fattispecie, non ricorre: vero è che la condizione di naufrago costituisce uno “stato di necessità”. Ed è nozione basilare di teoria generale del diritto quella secondo la quale alcuno stato di necessità può considerarsi tale nelle ipotesi in cui il pericolo risulta volontariamente causato o allorquando altrimenti evitabile: Nelle ipotesi in questione avremmo pertanto dei “naufraghi senza naufragio” e l’affondamento, solo asseverato nella gran parte dei casi, si appalesa, quando effettivo. del tutto procurato allo scopo di “abusare del diritto di protezione” previsto dalle disposizioni di diritto internazionale e dell’Unione Europea per casi diversi da quelli di coloro che si prefiggono artatamente di varcare illegalmente la frontiera di uno stato europeo.

Lo spiega bene il marittimista Giuseppe Loffreda, fondatore nel 2021 di Legal4Transport al quotidiano La Nazione: “A bordo delle navi giunte a Catania non ci sono naufraghi, ma migranti. Tanto più che la nave in questione è attrezzata ed equipaggiata proprio per ospitarli e provvedere a tutte le loro esigenze di accoglienza. Nel caso di specie, poi, i migranti sono saliti a bordo in acque internazionali trasbordando da altre unità navali di collegamento, dette feeder, e quindi poco si addice, a loro, giuridicamente la qualifica di ‘naufrago'”.

Loffreda ha smontato la narrazione delle Ong ma anche quella di molti esponenti della sinistra, che da giorni premono affinché l’Italia apra il porto di Catania a tutti i migranti a bordo per consentire l’avviamento delle pratiche di richiesta di protezione internazionale. Ed è proprio rifacendosi al tanto invocato trattato di Dublino che Loffreda rimette tutto nella sua dimensione: “Nulla escluderebbe ai fini della richiesta di asilo di applicare a bordo delle navi Ong il regolamento di Dublino, ed in particolare l’art. 13, che attribuisce la competenza a esaminare la domanda di protezione internazionale allo Stato membro la cui frontiera è stata varcata dal richiedente”. Infatti, considerando che le navi sono un’estensione territoriale dello Stato di cui battono bandiera, come spiega il giurista “la frontiera è rappresentata dal bordo della nave stessa”.

Il diritto allo sbarco ed il susseguente diritto di asilo, pertanto, viene abusivamente invocato in siffatte ipotesi.

Come può evincersi dalla radice etimologica del termine (ab-uti), si ha abuso nel caso di uso anormale del diritto, che conduca il comportamento del singolo che, nel caso concreto, si ponga, invece, “fuori” della sfera del diritto soggettivo esercitato.

Nel nostro ordinamento non esiste una norma che sanzioni, in via generale, l’abuso del diritto. La cultura giuridica degli anni ’30 riteneva che l’abuso del diritto, più che essere una nozione giuridica, fosse un concetto di natura etico-morale.

 Nella stesura definitiva del codice civile italiano del 1942  prevalse la preoccupazione per la certezza del diritto, attesa la grande latitudine di potere che una clausola generale, come quella dell’abuso del diritto, avrebbe attribuito al giudice. Di talché quella norma del progetto preliminare (art. 7) che proclamava, in termini generali, che “nessuno può esercitare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per il quale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto”, finì per non essere trasfusa nel codice.

 Altri ordinamenti, in particolare quello tedesco e svizzero, contemplano, per contro, una norma repressiva dell’abuso del diritto. Il modello tedesco reca, infatti, la regola, frutto di generalizzazione dell’antico divieto di atti di emulazione, secondo la quale “l’esercizio del diritto è inammissibile se può avere il solo scopo di provocare danno ad altri”. E l’art. 2 del codice civile svizzero ha adottato la più ampia formulazione secondo la quale “il manifesto abuso del proprio diritto non è protetto dalla legge”.

Il legislatore del ’42 ha, pertanto, preferito ad una norma di carattere generale norme specifiche che consentissero di sanzionare l’abuso in relazione a particolari categorie di diritti.

Nella trama del codice civile si possono rinvenire molteplici fattispecie “ abusive”: solo a titolo esemplificativo: art. 330, relativo all’abuso della potestà genitoriale ; art. 1015, relativo all’abuso del diritto di usufrutto ; art. 2793, relativo all’abuso della cosa da parte del creditore pignoratizio; art. 1059, comma 2, che impone al comproprietario, che – agendo ex se – ha concesso una servitù, di non impedire l’esercizio di tale diritto ; art. 1993, comma 2, c.c., cui vanno aggiunti gli artt. 21 l. camb. e 65 l. ass. ; ed infine disposizioni di maggiore ampiezza, considerate valide per intere categorie di diritti (art. 833, che, pur relativo al diritto di proprietà, è stato utilizzato come norma di repressione dell’abuso dei diritti reali in genere[1] ; artt. 1175 e 1375 che, attraverso la clausola della buona fede, hanno consentito in tempi recenti alla giurisprudenza, su suggerimento della dottrina più avvertita, di sanzionare, in termini di illecito contrattuale, l’abuso di diritti relativi o di credito.

 In dottrina si riscontra un animato dibattito circa la questione se le norme citate possano considerarsi specificazioni generali di un principio più generale, quello appunto dell’abuso del diritto, insito ed immanente all’ordinamento (e per questo non codificato), o se piuttosto siano settoriali e circoscritte, quasi un’eccezione alla regola generale per la quale l’esercizio del diritto è sempre legittimo (in ossequio al brocardo ‘qui iure suo utitur neminem laedit’) e non può, quindi, essere fonte di responsabilità.

In materia di diritto tributario, invece, anche quando le condotte assumono rilevanza penale, l’abuso del diritto è riconosciuto anche in giurisprudenza,

La definizione che potremmo definire classica di ‘abuso del diritto’, è quella stando alla quale  l’abuso è ritenuto sussistente “ogniqualvolta un diritto attribuito dalla legge venga utilizzato dal suo titolare in modo non confacente alla funzione economico-sociale per la quale esso è stato protetto, allorchè quindi esso sia esercitato per realizzare finalità diverse da quelle per le quali il diritto è stato riconosciuto e contrastanti con valori protetti dall’ordinamento”.

il concetto si attaglia alla questione degli sbarchi umanitari in quanto diffusamente operati  da navi appartenenti a cosiddette ong, acronimo che sta per organizzazione non governative.

Le persone che si trovano a bordo di tali natanti, nella generalità dei casi, non possono considerarsi “naufraghi”, salvo che non si perseveri nella mistificazione della realtà e non si intenda permanentemente indulgere in quella che gli operatori del diritto comunemente  definiscono una volgare “truffa delle etichette”.

I migranti, invero, di prassi, si avventurano in mare sprovvisti di documenti d’identità, e giammai risultano viaggiare a bordo di navi di linea, orientate cioè a raggiungere ed attraccare legalmente nei porti di destinazione. Eloquente, in tal senso, può considerarsi una ulteriore costante: negli ultimi anni giammai è accaduto che le navi delle Ong abbiano proceduto all’imbarco, ed al successivo sbarco di migranti , in concomitanza all’avvenuta denunzia di avaria, affondamento o naufragio da parte di alcuna nave di linea percorrente la tratta su cui si è operato l’intervento.

I richiedenti asilo, pertanto, in siffatte ipotesi, sono più realisticamente da riconoscersi in quanto soggetti preordinatamente e finalisticamente orientati ad approdare illegalmente nel porto di destinazione concordato con i trafficanti di esseri umani. Scopo che viene conseguito  facendo leva sull’abusivo ricorso ad una normativa finalizzata a prefigurare gli obblighi di soccorso, assistenza ed accoglienza dei naufraghi ma giammai ad abusivamente favorire ingressi illegali nel territorio di uno stato aderente al diritto comunitario ed alle convenzioni internazionali. 

FONTE : The Loffington Post

 

 

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