Voi che per li occhi mi passaste 'l core. Cavalcanti e le pene d'amore
Jun 02, 2022GUIDO CAVALCANTI
Voi che per li occhi mi passaste ’l core
*
Voi che per li occhi mi passaste ’l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l’angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore (1).
E’ vèn tagliando di sì gran valore,
che’ deboletti spiriti van via (2):
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore (3).
Questa vertù (4) d’amor che m’ha disfatto (5)
da’ vostr'occhi gentil’ presta (6) si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.
Sì giunse ritto ’l colpo al primo tratto (7)
che l’anima tremando si riscosse (8)
veggendo morto ’l cor nel lato manco (9).
1 Voi… Amore: Voi che, attraverso (per) gli occhi, mi trafiggeste (passaste) il cuore, e svegliaste la mente addormentata, guardate la mia vita angosciosa, che Amore distrugge facendomi sospirare (sospirando, gerundio con valore causativo). L’innamoramento viene descritto secondo un topos ricorrente: l’immagine della donna, attraverso gli occhi, penetra nel cuore e vi apporta uno sconvolgimento. Il termine “mente” indica qui il luogo della memoria e della fantasia (e non, come a noi moderni potrebbe apparire, l’intelletto). Nella spiegazione della preposizione “per” seguiamo De Robertis: attraverso gli occhi miei; per Contini, invece, gli occhi sarebbero quelli della donna (voi che, servendovi degli sguardi, mi trafiggeste il cuore). Al v. 4, il pronome personale “la” è pleonastico (la funzione di complemento oggetto è già svolta dal relativo “che”).
2 E’ ven… via: L’Amore (E’) va ferendo (vien tagliando) con tanta forza (valore) che gli spiritelli, deboli, vanno via. Cavalcanti segue le dottrine della filosofia e della medicina averroistica, che attribuisce all’azione degli “spiriti” le facoltà sensoriali dell’uomo (come ad esempio la vista) o i moti dell’animo (come il tremore). La poesia di Cavalcanti però personifica gli spiriti e li trasforma in attori di una vicenda drammatica, che ha come teatro l’interiorità dell’amante. L’aggettivo “deboletti” è un diminutivo con connotazione affettiva, tipico dello stile cavalcantiano.
3 riman… dolore: rimane solo l’aspetto esteriore (figura) in (suo) potere (segnoria), e un po’ di voce (voce alquanta) che esprime (parla) dolore. Di grande efficacia è qui l’uso transitivo di parlare con riferimento a un complemento oggetto non connesso con il campo semantico della lingua.
4 vertù: forza, potenza.
5 disfatto: distrutto.
6 presta: rapida.
7 al primo tratto: al primo tiro d’arco (tratto), cioè immediatamente.
8 che… riscosse: che l’anima, tremando, si risvegliò: il termine “anima” coincide qui in sostanza con “mente”. L’ultima terzina ripropone, con pochissime variazioni, l’azione descritta nella prima quartina (nella quale, appunto, la “mente” veniva “destata”).
9 veggendo…manco: vedendo il cuore ferito mortalmente nel lato sinistro (manco).
E6 - Analisi del testo
Livello metrico
Sonetto con rime incrociate nelle quartine e ripetute nelle terzine, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDE, CDE. Le rime A e D sono assonanti tra loro. Lo stesso avviene per le rime C ed E.
Livello lessicale, sintattico e stilistico
Il lessico di Cavalcanti si rifà ai canoni stilnovistici, ma del tutto nuovo è il rigore scientifico con cui egli utilizza i sostantivi. Solo per fare un esempio, la parola “core”, che in Guinizzelli ha significato alquanto generico (si potrebbe renderla con “animo”), va qui intesa anzitutto nel suo esatto significato fisiologico. Lo stesso dicasi di “mente” e “anima”, termini che vanno precisamente interpretati in base alla fisiologia averroistica, e di “spiriti”, vocabolo che designa le facoltà fisiologiche e sensoriali dell’uomo.
Questa precisione terminologica risponde all'esigenza di oggettivare il sentimento amoroso: il poeta non intende affatto esprimere la propria passione, bensì analizzarla dandole concretezza visiva. Per far questo, egli “mette in scena” la sua interiorità, scindendola in varie componenti che si comportano quasi come personaggi di teatro. La scena rappresenta le conseguenze che produce sull'amante la visione della donna.
Tali conseguenze sono chiaramente connotate in senso negativo. Possiamo vederlo dai verbi, che rimandano quasi tutti a idee di violenza e di distruzione. Troviamo in questo sonetto “passaste” (nel senso di trafiggeste), “sospirando”, “distrugge”, “tagliando”, “disfatto”, “tremando”; molti di questi termini si collegano all'idea della guerra: la guerra è appunto una delle metafore privilegiate di Cavalcanti, che attraverso di essa rappresenta lo sconvolgimento che la passione amorosa produce nell'amante. In particolare, “tagliando” rinnova il topos classico della trafittura amorosa: la freccia, che prima ha trafitto, opera in questo caso come una spada, di taglio, con violenza devastante.
Per quel che riguarda gli aggettivi, tipicamente cavalcantiano è l’uso di diminutivi con connotazione affettiva: ne vediamo qui un esempio in “deboletti”, che designa gli spiriti sconvolti dalla passione d’amore.
A livello sintattico, il sonetto è costruito in modo lineare e simmetrico, con alternanza tra paratassi e semplici strutture ipotattiche; costante è la corrispondenza tra ritmo e sintassi (non ci sono enjambements). Tale corrispondenza si può riscontrare anche tra la sintassi e la forma metrica: il discorso si chiude regolarmente con il punto fermo alla fine di ogni strofa, aderendo perfettamente alla partizione definita dalla struttura del sonetto. La simmetria costruttiva è sottolineata ulteriormente dal fatto che il testo descrive due volte la stessa azione: una prima volta nelle quartine e poi, di nuovo, nelle terzine.
Livello tematico
Prima quartina: l’innamoramento mentale
La prima quartina descrive, con precisione filosofica e scientifica, il processo di innamoramento. Al principio di tale processo è la donna, o meglio il suo phantasma (termine con cui i medievali indicavano l’immagine mentale che si forma grazie alla visione, immagine che noi continuiamo a ricordare anche quando l’oggetto non è più presente ai nostri occhi). Tale immagine, attraverso gli occhi dell’amante, arriva fino al “cuore” e desta la “mente” dal suo sonno. Il termine “mente” indica, in sostanza, l’immaginazione e la memoria (o, per usare la terminologia di Averroè, il commentatore arabo di Aristotele cui Cavalcanti si rifà, la virtù immaginativa e la virtù memoriale): quelle facoltà cioè che ci consentono di ricordare gli oggetti sensibili e di “vederli” anche quando essi sono assenti. È importante notare che, nella terminologia cavalcantiana, “mente” non indica affatto, come a noi moderni potrebbe apparire, l’intelletto, sede della conoscenza razionale; mentre infatti l’intelletto è capace di raggiungere una conoscenza astratta e universale, che può fare a meno delle immagini sensibili, la mente (sia che ricordi, sia che immagini) rimane sempre necessariamente legata a dati sensibili: è per questo che in essa si colloca il phantasma.
Matrice filosofica aristotelica ha anche il verbo “destare”, che fa riferimento al passaggio dell’amore dalla potenza all’atto per opera di una causa efficiente (il phantasma della donna). In Gunizzelli il sentimento amoroso nasceva però, semplicemente, nel “cuore”. Cavalcanti parla invece di “cuore” e “mente”, termini strettamente correlati. Avverte infatti Averroè, parlando delle virtù immaginativa e memoriale, che “benché le camere del cervello siano il luogo in cui si compiono le operazioni di queste virtù, tuttavia le loro radici si trovano nel cuore”. Che l’amore si desti nel “cuore” come dice Guinizzelli, o si desti nella “mente” come dice Cavalcanti, non fa dunque molta differenza. Tant’è vero che in Cavalcanti il destarsi della “mente” (v. 2) è proprio conseguenza del risveglio che il phantasma della donna provoca nel “cuore”.
Seconda quartina: la disfatta degli spiriti
L’azione che si svolge nel cuore è rappresentata come una battaglia: l’amore, penetrato all’interno dell’uomo, ferisce con forza e mette in fuga gli “spiriti”. Questi nuovi protagonisti dell’azione sono entità che hanno un preciso significato nella filosofia, ma anche nella medicina, averroistica. Con la dottrina degli “spiriti” si spiegano le facoltà sensoriali dell’uomo (ad esempio la vista) o i moti dell’animo (come il tremore). Gli spiriti, secondo la medicina averroistica, si muovono continuamente nel corpo umano (dal cuore alla periferia e viceversa, secondo un percorso che ricorda molto da vicino la circolazione sanguigna) e comunicano agli organi la virtù vitale.
Cavalcanti tuttavia, come aveva già fatto della “mente” (cui si attribuiva metaforicamente un’azione umana, quella del “destarsi”), personifica anche questi elementi costitutivi dell’organismo dell’uomo. Essi si raccolgono a difesa del cuore, ma poi sono sgominati e messi in fuga dall’Amore. L’elenco dei personaggi teatrali però non è ancora completo: sulla scena ci sono anche la “figura”, cioè l’aspetto fisico dell’amante, e la sua “voce”, elementi che, dopo la disfatta degli spiriti, rimangono in balia dell’Amore. La persona dell’amante viene dunque scissa in tante dramatis personae che mettono in scena l’azione “teatrale” della battaglia, da cui l’Amore esce trionfatore e l’uomo “disfatto”. È chiaro che siamo molto lontani da una immediata e soggettiva trascrizione del sentimento: ci troviamo di fronte a una rappresentazione oggettivata, di validità universale, delle conseguenze della passione amorosa, rappresentazione che obbedisce ai canoni della retorica medievale.
Le terzine: la rappresentazione circolare
Nelle due terzine si torna a descrivere la stessa azione delle quartine. Le variazioni sono pochissime: tra queste da notare che la parola “occhi” del v. 10 (che richiama il v. 1) si riferisce adesso alla donna (mentre al v. 1 gli occhi erano quelli del poeta). Il sonetto si struttura quindi in forma circolare: non c’è svolgimento, ma ripetizione angosciosa di una situazione immutabile. Come nota Calenda1, Cavalcanti ci presenta “una sequenza di fotogrammi che illustrano un ambiente unico e immobile ripreso simultaneamente da camere fisse secondo diverse angolazioni (campo, controcampo, campo lungo, primo piano ecc.)”. Di nuovo, l’Amore colpisce il cuore dell’amante con un dardo (nelle quartine l’idea di una azione violenta era implicita nel verbo “passaste”), portando l’anima a riscuotersi. Saremmo fuori strada se intendessimo quest’“anima” in senso cristiano. Per la dottrina averroistica infatti l’anima dell’uomo non è immortale: al singolo uomo sono date l’anima vegetativa e l’anima sensitiva; entrambe sono destinate a perire con il corpo. L’uomo partecipa anche di una terza “anima”, quella razionale o intellettiva, che però non appartiene al singolo uomo, bensì all'intera umanità. L’“anima” di cui parla qui Cavalcanti è, in sostanza, quella sensitiva, luogo della memoria e dell’immaginazione (oltre che di altre virtù, ad esempio quelle che regolano il movimento). In definitiva, il termine “anima” può qui indicare, per sineddoche (il tutto per la parte), la “mente”: tant'è vero che l’azione di quest’“anima” è esattamente la stessa della “mente” (“riscuotersi” ha quasi lo stesso significato di “destarsi”); l’“anima”, come la “mente”, risulta qui strettamente connessa con il “cuore”.
La metafora della morte
L’azione teatrale si conclude con la constatazione della “morte” del cuore. Si tratta ovviamente di una morte metaforica, risultato dello sconvolgimento portato nell'uomo dalla passione. Questa avvince l’uomo ai propri sensi, impedendogli di elevarsi alla conoscenza intellettuale (scopo, per Aristotele, dell’umana esistenza); ma in questo sonetto tale tematica è appena accennata. Il tema dell’amore come ostacolo alla conoscenza trova il suo sviluppo nel sonetto Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira [E7], alla cui analisi rimandiamo per una più compiuta intelligenza del pensiero-poesia di Cavalcanti.
FONTE: https://bit.ly/3aBQ0Lp
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